IL REGOLAMENTO, LA LEGGE INTERNA DEL CONDOMINIO

suoi contenuti specifici variano secondo le specifiche esigenze di ogni condominio

Rivista Condominio Oggi

Associazione A.N.AMM.I.

a cura di  Eros Bruciati socio A.N.AMM.I. n. U386

Il regolamento condominiale è stato definito come la “legge interna del condominio” e può sostituirsi alla norma di legge con carattere suppletivo per approfondire e disciplinare i problemi in relazione all’individuazione delle parti comuni o alla ripartizione delle spese. I suoi contenuti specifici variano secondo le specifiche esigenze di ogni condominio, ma esso dovrà comunque essere strutturato in maniera da comprendere l’identificazione delle parti comuni dell’edificio e le regole sull’utilizzo delle stesse precisandone eventuali limitazioni.

Necessaria anche la disciplina relativa alla ripartizione delle spese, utile per eliminare i contrasti interni al condominio. Oltre ciò, è possibile determinare con precisione anche le attribuzioni dell’amministratore, prevedere o riservare talune attività all’assemblea o ad alcuni condòmini. Più un regolamento è completo più si elimineranno futuri contrasti e le questioni pendenti tra condòmini o tra amministratore e condòmini. Si definisce “regolamento assembleare” quello approvato in assemblea con le maggioranze di cui al 2° co., art. 1136 c.c.

Esso può contenere solo disposizioni che disciplinano l’uso e il godimento delle parti comuni e non disposizioni che alterino la misura del godimento che ciascun condomino ha in ragione della propria quota, ma può, tuttavia, limitare la proprietà esclusiva in relazione al decoro architettonico (Cass. n. 5035/02), e contenere solo norme regolamentari per la cui modifica è sufficiente la succitata maggioranza. Il 2° co., dell’art. 1138 c.c. prevede poi la facoltà del singolo condomino di prendere iniziativa per la redazione del regolamento o per la sua revisione, ciò in deroga a quanto disposto dall’art. 66 disp. att. e trans. c.c. che prevede, per la convocazione assembleare, la richiesta di almeno due condòmini che rappresentino almeno 1/6 del valore millesimale dell’edificio. I regolamenti approvati a maggioranza possono stabilire le modalità di ripartizione delle spese ma non possono modificare i criteri dettati dall’art. 1123 c.c. e sgg, essendo tali criteri derogabili solo da un regolamento contrattuale o dalla volontà dei condòmini in sede di approvazione delle tabelle millesimali. Invece, un regolamento approvato all’unanimità può contenere disposizioni di riparto spese diverso da quello prescritto per legge. Le disposizioni del regolamento contrattuale, se hanno però natura regolamentare, sono modificabili dall’assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136 c.c., 2° co. Anche la giurisprudenza ha precisato che la disciplina contenuta in un regolamento contrattuale può essere innovata, a norma dell’art. 1322 c.c., sull’autonomina contrattuale, da una nuova convenzione che non incidendo sui diritti reali, non richiede la forma scritta ai sensi dell’art. 1350 c.c. ma richiede il consenso unanime, il quale tuttavia, può essere espresso per “factia concludentia”, ovvero un comportamento che, secondo la valutazione delle circostanze cui si accompagna, presuppone l’esistenza di un implicito intento negoziale. Il tal caso, la manifesta tacita volontà dovrà rapportarsi ad un comportamento univoco e concludente dal quale possa desumersi un determinato valore.

Nel caso in cui un condominio si sia costituito senza la predisposizione di un regolamento, ogni condomino può farsi promotore della sua stesura tramite richiesta all’assemblea o all’amministratore affinché venga preso in esame il problema e si proceda in tal senso. Parimenti nel caso in cui un condomino intenda richiedere la modifica di uno o più articoli del regolamento. Ciascun condomino, inoltre, avrà interesse a che non siano inserite nel regolamento norme contrarie alla legge, ed ha quindi diritto, qualora dissenziente, alla relativa impugnazione: questo perché i destinatari delle norme regolamentari sono tutti i condò- mini in quanto vincolati dalla regolamentazione, e non solo se ed in quanto vengano a trovarsi in concreto nelle situazioni previste, disciplinate o vietate. Tuttavia in caso di impugnativa da parte del condomino, l’interpretazione di una clausola regolamentare da parte del giudice di merito diviene insindacabile in sede di legittimità, ove non sia contraria a norme di diritto o a criteri logici. I regolamenti di condominio votati a maggioranza possono contenere limitazioni all’uso delle cose comuni ai fini del miglior godimento delle stesse (ad es. vietare l’accesso dei bambini in cortile a determinate ore o stabilire turni per l’uso della lavanderia). Quanto alle limitazioni dei diritti di proprietà la Cassazione ha precisato che i limiti di uso e destinazione imposti dal regolamento alle u.i. di proprietà esclusiva, sono opponibili anche ai successivi acquirenti a condizione che il regolamento sia stato accettato dal dante causa mediante specifico richiamo contenuto in apposita clausola del relativo atto di acquisto. Una volta approvato, il regolamento dovrà essere allegato al registro dei verbali assembleari e, in seguito inviato a tutti i condòmini anche per consentire una eventuale impugnazione avanti l’Autorità giudiziaria entro 30 gg ai dissenzienti.Per espressa previsione dell’art. 1107 c.c. il regolamento approvato ha effetto su tutti i partecipanti, nonché gli eredi e gli aventi causa.Secondo l’art. 1130 c.c. è compito dell’amministratore curarne l’osservanza e la tutela, nonché la tenuta del registro verbali. Rilevante novità apportata dalla L. 220/12 è l’introduzione del co. 5 dell’art. 1138 c.c. che sancisce, per i regolamenti condominiali, l’impossibilità di inserire norme che vietino il possesso o la detenzione di animali domestici. Secondo la giurisprudenza però tale direttiva sembra ritenersi valida solo per i regolamenti assembleari, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, nei quali non è consentito l’inserimento di clausole che incidano sulla libertà del condomino a godere e disporre della propria proprietà esclusiva, rientrando tra queste anche la detenzione degli animali domestici. Secondo alcuni commentatori, infatti anche dopo l’entrata in vigore della riforma un vecchio regolamento contrattuale che contenga il divieto di detenzione di cani di grossa taglia, manterrebbe la propria efficacia. Non solo, l’art. 1138 c.c. sarebbe addirittura derogabile con un nuovo regolamento purché di natura contrattuale, in quanto forte della volontà unanime delle parti. Sarebbero dunque solo le norme di regolamento a non poter vietare di possedere o detenere animali domestici in condominio. Restano sempre ferme, ovviamente, le regole generali previste in materia, tra cui l’obbligo, incombente per i proprietari dell’animale, del mantenimento di ordine e pulizia nell’area di passeggio, dell’utilizzo di guinzaglio e della museruola per gli animali di indole aggressiva, oltre alle consuete responsabilità civili dei proprietari per i danni cagionati dall’animale ex art. 2052 c.c., oltre che per le immissioni moleste (disturbo della quiete) che superano la normale tollerabilità (art. 844 c.c.).

 

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Commenti: 4
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